BOAI Article on IlSole24Ore

From: Stevan Harnad <harnad_at_cogprints.soton.ac.uk>
Date: Mon, 18 Feb 2002 11:42:02 +0000

---------- Forwarded message ----------
Date: Mon, 18 Feb 2002 11:27:25 +0100
From: Roberto Casati <casati_at_ehess.fr>
To: Stevan Harnad <harnad_at_ecs.soton.ac.uk>
Subject: Article on IlSole24Ore

Dear Stevan,

I published the following on Italy's IlSole24Ore (leading economic
newspaper) of Sunday 17.2.2002 (mentioning you in passing). The article is
not available online but you can use it if you find it appropriate. The
newspaper organizes a forum:
http://www.ilsole24ore.com/art.jhtml?artid=93495&dnr=true

All the best
Roberto


Secondo una stima, ogni anno la comunità scientifica mondiale produce
quattro milioni di articoli in ventimila riviste specializzate con comitato
di lettura. L’innovazione scientifica e tecnologica passa per questo
insieme di testi, viene consultata dagli addetti ai lavori e dalle
industrie, produce altra ricerca e altra innovazione, e ha ricadute
continue e incalcolabili sull’economia e sulla società. Chi paga per questa
immensa massa di dati, e in che punto del processo avvengono le transazioni
economiche? Le università e i reparti di Ricerca e Sviluppo delle aziende
pagano i ricercatori, che ricavano dalla pubblicazione prestigio e
possibilità di carriera. Ci si aspetta pertanto che i ricercatori non
ricevano royalties per i loro scritti. Il loro lavoro non assomiglia a
quello degli scrittori, che vivono delle vendite dei loro libri. In
effetti, nella stragrande maggioranza dei casi i ricercatori donano
liberamente al pubblico le opere del loro ingegno (quendo non si può, o non
ha senso proteggerlo con un brevetto).
La produzione di testi di ricerca scientifica ha quindi uno statuto
economico anomalo rispetto alla produzione di altri contenuti culturali, in
due sensi molto diversi: non rende direttamente ai suoi produttori, che non
ricevono royalties, e ha un impatto enorme e vitale sull’economia mondiale.
Queste due anomalie sono naturalmente virtuose. Per esempio, introdurre un
sistema di royalties ridurrebbe la possibilità di distribuzione e di
accesso degli articoli scientifici. Gli autori sono i primi a non voler
vedere questo accesso ridotto: se il loro lavoro dovesse venir valutato non
solo sulla base del valore scientifico, ma anche della possibilità di
generare guadagni alla pubblicazione, pubblicherebbero senz’altro di meno e
non secondo criteri necessariamente scientifici, e ciò influirebbe
negativamente sulla loro carriera. Di converso, la comunità perderebbe una
possibilità di accedere ai risultati della ricerca.
Ma c’è una terza anomalia non virtuosa. Si tratta del filtro pagante
dell’edizione scientifica. L’edizione scientifica non retribuisce l’autore
ma fa pagare il lettore (nella fattispecie le biblioteche accademiche che
possono permettersi i costosissimi abbonamenti alle riviste specializzate,
a volte prossimi alle migliaia di euro annuali a testata). Il lettore
ricompensa per le informazioni ricevute non l’autore ma il distributore di
contenuto. Nella galassia Gutenberg la mediazione dell’editore scientifico
svolgeva un ruolo indispensabile e non era un’anomalia: il rischio
commerciale della distribuzione doveva venir ricompensato. Tuttavia, il
filtro impedisce un accesso generalizzato all’informazione scientifica. E
la necessità di stampare testi e muove carta stampata è resa oggi obsoleta
grazie alla possibilità di rendere disponibili a costi ridottissimi le
informazioni su internet.
Su www.text-e.org Steven Harnad ha legato questi fattori in un argomento
politico. Il contenuto scientifico è regalato, e dato che non c’è più
ragione di distribuirlo a costi elevato, dovrebbe diventare di pubblico
accesso. Le università devono farsi carico di questa trasformazione: i
costi della costituzione di uno standard mondiale di archiviazione e di
recupero dei dati dovrebbero venir compensati dalla riduzione dei costi di
abbonamento. Ma c’è un difficile problema di coordinazione
interuniversitaria e internazionale (aggravato dal fatto che molte
università hanno le proprie case editrici), nonché di formazione dei
ricercatori all’autoarchiviazione.
Gli stati non si sono finora mostrati particolarmente sensibili al
problema. È tanto più rimarchevole che alcuni organismi privati si stiano
facendo carico di questo lavoro di coordinazione. Il 14 febbraio la Soros
Foundation ha pubblicato un manifesto (www.soros.org), la Budapest Open
Archive Initiative, che incoraggia la creazione di una rete di università
dotate di software che permetta l’archiviazione e la distribuzione in modo
semplice e gratuito di tutta la produzione scientifica mondiale.
Naturalmente le barriere da superare sono molte. Si devono incoraggiare i
dipartimenti universitari a tenir conto di materiale pubblicato sul web e
non solo sulla carta quando valutano il curriculum di un candidato; si
devono incentivare i ricercatori ad autoarchiviarsi sul web; si devono
convincere le biblioteche a spendere meno soldi per i giornali scientifici
costosi. Ma da qualche parte si deve cominciare per razionalizzare
l’interfaccia oggi carente tra produzione e consumo di articoli
scientifici, e un’intervento visibile come quello della Fondazione Soros è
sicuramente un passo nella direzione giusta. I vantaggi per la società nel
suo complesso dovrebbero superare ampiamente i costi, ed è auspicabile che
i governi intervengano per rendere più rapida la trasformazione del modo in
cui viene distribuita l’informazione scientifica.


Roberto Casati
Received on Mon Feb 18 2002 - 11:42:25 GMT

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